“Bisogna vederle le carceri per poterne parlare” diceva Calamandrei. 

Luigi Pagano, ex direttore di San Vittore che ha ricoperto ruoli di vertice all’interno del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, senz’altro le ha viste e vissute, e per questo ha deciso di raccontarle all’interno di un libro (“Il direttore” appunto) che ripercorre la sua biografia e i suoi quarant’anni di carriera, come racconta al giornalista e scrittore Carmelo Sardo nella seconda giornata di Tramextra.

“Le carceri sono anacronistiche e inumane. Non sono in grado ad oggi di svolgere la funzione di recupero della persona, ledendone anzi la dignità, ne di abbattere la recidiva di reato – denuncia – favoriscono l’annichilimento delle personalità e la tendenza, da parte delle società civile, di identificare il reato con la persona”.

Il carcere dovrebbe essere l’extrema ratio dell’esecuzione penale, la rieducazione e il reinserimento potrebbero essere perseguiti implementando misure alternative, perché – spiega – “lo Stato non si può rifare con le manette come in una vendetta personale. Lo Stato è un’altra cosa”.

Il direttore, con la peculiarità della competenza umana prima che professioanle e l’utopia dell’abolizione delle carceri, è riuscito a innescare un processo di cambiamento ed è stato precursore dello sdoganamento di alcune attività all’interno degli istituiti (come quella teatrale), convinto che il reinserimento della persona nella società e l’abbattimento della recidiva di reato sia possibile solo offrendo ai detenuti concrete occasioni di recupero. “Svolgere attività preserva la loro umanità” – spiega.

L’intero sistema appare però ancora lontano dall’esser al passo con i tempi e con i canoni di civiltà. “Secoli di evoluzione umana e giuridica – conclude – non sono riusciti a sradicare quell’occhio per occhio che ci portiamo dentro. L’istinto di reazione in noi è dovuto a fatti ancestrali”.

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